giovedì 28 gennaio 2016

MAD MAX: fenomenologia di un punto di non ritorno.

Visto che abbiamo presentato l'intera saga nell'anno vecchio quando ancora non esisteva il blog, due parole due sulla saga di George Miller.
Diciamocelo, ti è sempre piaciuto tantissimissimo Mad Max e tutto quell'armamentario di ferraglia rugginosa ma sciccolosa che si è portato dietro, ti piaceva quando eri bambino (perchè sì, vorrei ben vedere), ti piaceva quando eri un giovinotto pretenzioso ed istruito allo stile di vita pulcioso-intellettuale da manuale dell'universitario bolognese, perchè fulgido esempio di una postmodernità furibonda e sanguigna e ti piace adesso, secoli dopo, quando sei tornato concorde col te stesso ragazzino e relativa ammirazione spasmodica verso tutta quella lamiera, quei crestoni colorati, le macchine con le bombolone che sgommano nel deserto e quel scalciaculi fulgido eroe di Max Rochatansky col suo chiodo semismanicato ed il canne mozze portato alla coscia à la Sergio Leone, come solo in quegli anni hipster-free si poteva fare. La trilogia originale ti ha da sempre visto adorante e devoto, per cui all'uscita del quarto capitolo remake/reboot/chissenefrega i tuoi sentimenti erano ovviamente contrastanti e sospesi in quell'atroce limbo che sta tra la gioia infinita e la paura fottuta di un quarto film, uscito fuori tempo massimo, che potesse mandare in vacca l'intera saga (qualcuno ha detto Indiana Jones?). Sentimenti che poi sono stati bellamente spazzati via da quelle due ore forsennate di puro distillato di adrenalina misto anfetamina che è Fury Road ed hai pensato che mai titolo fu più azzeccato ed ancora non hai capito bene cos'è successo.
Inutile sottolineare l'importanza dell'opera di sua maestà George Miller nell'immaginario pop globale così come è proverbiale l'impatto che ha avuto tutto il suo armamentario postapocalittico nella produzione a posteriori di film, fumetti, musica, narrativa e quiz televisivi. C'è un mondo prima ed un mondo dopo Mad Max, così come c'è la vita, per come la conoscevi, prima di Fury Road e dopo che sei uscito dal cinema barcollante e dimentico di ogni cosa compreso nome e cognome.
Ancora non ti capaciti di come siano riusciti a costruire quella mirabilia postnucleare fottendosene essenzialmente di trama e dialoghi perchè dal capitolo 1 al numero 4 il tutto si può essenzialmente riassumere così: "mai, mai e poi mai, far incazzare l'australiano sbagliato". L'autore principalmente se ne sbatte di darci degli spiegoni, per cui sappiamo poco o nulla di quello che è successo al mondo e certamente se nel primo capitolo una parvenza di società civile ancora c'è, nelle puntate successive sprofondiamo a piedi pari nel medioevo postatomico con villanzoni sempre più invasati, coatti e sempre più kresti.

L'evoluzione del concetto di inseguimento in macchina secondo George Miller, sobrio e minimale quanto basta.



I dialoghi sono ridotti all'osso, ed anzi, le parti più deboli che ti fanno dire "daimò, diamoci una mossa" sono proprio quelle del primo film in cui Max, ancora con moglie e pargolo al seguito, se ne sta lì coricato a far progetti e favellar d'amore, invece di sterminare malcapitati cattivoni a bordo della V8 nell'outback australiano. Poi se ne sono accorti e la breve parentesi intimista si è fermata lì.

Per l'appunto.

E difatti è da sempre questo che ti chiedi, come può una saga del genere assurgere a livello di puro capolavoro? Come può un qualcosa con una trama povera, dialoghi all'osso ed energumenti strafatti, ed ancora, deserti western, armature, macchine supercarburate, lanciafiamme, spade, pistole, fucili, boomerang, rullate di kartoni, badassery come diluviasse, mohicane, pellami, villanzoni palestrati e mascherati, sbirri punk, V8 Interceptor, chitarre elettriche sputafiamme, muri di marshall montati su camion blindati, valhalla, gente con dentiere cromate che si fa esplodere, battaglie a colpi di blindocisterne, Kenshiro e la scuola di Hokuto, come può una roba del genere piacerti tanto?

Ad oggi ancora non te lo spieghi...


Ed adesso un po' di curiosità a caso prese dall'Internet o che ti hanno raccontato al bar:

- Toecutter, il villain del primo film, è interpretato da Hugh Keays-Byrne che sarà poi il supervillain faccia da teschio nel capitolo 4.

- Sempre Toecutter (letteralmente "tagliatore di dita dei piedi"), nel doppiaggio italiano di quegli anni oscuri, diventa Teo Cotter
mah...

- Nel primo film il budget era talmente ridotto che tutta la componente postapocalittica viene drasticamente ridotta, rendendo il primo Mad Max più simile ad una puntata di Hazzard con più parolacce, cadaveri e gente vestita peggio. Addirittura molti veicoli di scena vennero presi dallo sfasciacarrozze ed il furgone che viene investito dalla Pursuit della pula era dello stesso George Miller

- Sempre per questioni di budget nel primo capitolo l'unico vero indumento in pelle era il chiodo di Max/Mel Gibson. Nel secondo, grazie all'ingente dispendio di mezzi, andarono a svuotare i sexy shop della zona per dare quel tocco un po' così

- Il titolo italiano dei due film, Interceptor e Interceptor - Il guerriero della strada, deriva, com'è noto, dal nome dell'auto di Max, la V8 Interceptor, ricavata dalla Ford Falcon X8, un modello venduto quasi esclusivamente in Australia.

- Vernon Wells, il supercattivo Wez del secondo capitolo, avrebbe ripreso cresta e trucco in La Donna Esplosiva di John Hughes (1985)

- A quanto pare l'intera saga è stata ispirata da un romanzo di fantascienza, A boy and his dog, che narrava le vicende di un ragazzo e del suo cane che condividono un legame telepatico, e la crisi del carburante che nel 1973 colpì l’Australia scatenando violente rivolte tra i camionisti.

-  Mel Gibson è realmente amico di Steve Bisley (l'attore che impersone Goose, il miglior amico di Max nel primo capitolo che non fa una bellissima fine) ed ha pensato bene di accompagnarlo al casting. Dal momento che Gibson aveva fatto a botte in un bar il giorno prima sfoggiava un bell’occhio nero, uno degli addetti lo ha notato  e gli ha detto di tornare dopo tre settimane per leggere alcune battute di Max. Il resto è storia.

- Mad Max 2 è stato saccheggiato da ogni pellicola in cui c’è un punk in armatura o un deserto post apocalittico con buontemponi alla ricerca di vittime da torturare, senza questa saga non avremmo avuto, ad esempio, Kenshiro e tutto il bagaglio formativo con cui ha educato generazioni di ragazzini che hanno passato la giovinezza al campetto dietro casa cercando lo tsubo giusto per far esplodere la testa all'avversario.

- Inizialmente il capitolo 3 non doveva riguardare Mad Max, doveva essere una sorta di versione post-apocalittica de Il Signore delle Mosche, in cui una tribù di bambini veniva scoperta da un adulto. Miller suggerì che quell’adulto poteva essere Max, a quel punto bastò solo aggiungere un po’ di combattimenti con i veicoli, qualche arma improvvisata e un po’ di kresti.

- Nel quarto capitolo, Fury Road, hai visto bene, la patacca nuda sul ripetitore postatomico della Vodafone è proprio Megan Gale, in Australia è ancora piuttosto famosa.
- L’idea dei “polecats”, i Figli di Guerra che si lanciano da un’auto all’altra usando dei lunghi pali flessibili, è venuta a Miller guardando l’esibizione di un artista di strada. Un esperto acrobata del Cirque du Soleil ha poi aiutato a mettere insieme un gruppo di ginnasti per interpretare le parti.

Il chitarrista che suona su uno dei carri da battaglia dei Figli di Guerra è il musicista australiano iOTA, che ha scritto e suonato tutte le musiche di guerra. Si è presentato al provino truccato come un cattivo del secondo film e Miller, per premiarlo, lo ha incatenato ad un camion e lo ha mandato a zonzo nel deserto. Il risultato è probabilmente il personaggio secondario più cazzuto della storia del cinema.

iOTA prima e dopo una settimana passata con Miller

- Del perchè quel pazzo furioso di George Miller sia passato dal fare Mad Max in Australia a Babe Va In Città negli States e poi ancora, con 70 anni sul groppone, a quello che è probabilmente il punto zero del cinema d'azione, ancora non te lo spieghi. Per fortuna il maestro Leo Ortolani ha indagato per te ed ha scoperto il perchè. Enjoy.



































lunedì 25 gennaio 2016

Questo mercoledì al Microcinema


E cioè di come siamo quantomeno debordanti giusto orgoglio nel presentarvi la proiezione di Le Notti di Cabiria, lavoretto trascurabile del '57 di un tale Federico Fellini di cui poco o niente sappiamo.
Mercoledì 27/01 nella cornice de l'Italianissima.


venerdì 22 gennaio 2016

Le recensioni: LADRI DI BICICLETTE

Hai presentato l'altra sera Ladri di Biciclette, il capolavorissimo di De Sica, e tutte le volte che lo vedi pensi che questo film andrebbe assolutamente inserito in una di quelle capsule sparate nello spazio in cerca di civilta extraterrestri perchè così dissuaderebbe gli alieni dal distruggere la Terra. Una di quella cose per cui uno dice, sì, l'umanità non è del tutto da buttare, perchè se c'è una cosa che ci insegna Ladri di Biciclette, il cui titolo avrebbe dovuto essere Mai 'na Gioia, è che anche nelle peggiori sfighe e nel momento in cui ci si abbruttisce più che mai, il lato umano che c'è in noi non deve mai essere perso o dato per scontato. Tutto questo malloppo di concetti, grazie alla magia del cinema ed alla  mano superlativa dell'autore, passa attraverso questi due volti straordinari su cui la cinepresa indugia per larga parte del film.



Vuole la leggenda che gli yankee avessero richiesto Cary Grant come protagonista, non lo sai ma non ti importa, perchè i due protagonisti straordinari lo sono per davvero, sono loro che ti portano in giro per una Roma non ancora del tutto capitale e non ancora città ma ancora poco più che borgata di campagna, sono loro che ti conducono per mano in un universo di miserie talmente misere che ti vien voglia a metà film di abbracciarli, quei due disgraziati, perchè per 90 minuti collezionano una serie di amarezze che nemmeno il rag. Fantozzi al massimo della forma.
Che poi ti accorgi che non si scivola nel patetico nemmeno per un istante, perchè è tutto talmente uncinettato a regola d'arte e la sceneggiatura di Zavattini pennella talmente bene un'infilata di personaggi secondari, che ti sembra alla fine di aver guardato un docufilm del dopoguerra, perchè è vero che quello che succede al cinema nella realtà raramente accade e se ti fregano una bici a Roma col cazzo che la ritrovi. Poi dici, potrebbe andare peggio, potrebbe piovere

e difatti.


In LDB e nella sua critica sociale dolce come la morte c'è tutto, ci sono mogli che impegnano le lenzuola senza fartelo pesare


c'è chi va a lavorare comodamente in bici con una scala da 150 kg in spalla


c'è il punkabbestia che ad un certo punto quella bici te la incula e poi prova a rivendertela in Piazza Verdi assieme a del fumo copertone da camion


c'è la santona che anni dopo avrebbe istruito Wanna Marchi sulle cose della vita


c'è il bulletto di quartiere che è Franco Califano vent'anni prima di Califano


c'è l'alta borghesia clericalizzata che ti chiude a chiave in chiesa se vuoi mangiare della sbobba infame


 c'è l'antenato del circolo Arci dietro casa tua, dove in una sala c'è il tipo del Partito ed in quella di là provano uno spettacolo tristissimo


 c'è il bambino ricco e stronzo, pettinato a schiaffoni e futuro cocainomane, palazzinaro negli anni '80, indagato in manipulite nei '90


e c'è il lieto fine, che sembra una copertina dei Joy Division, dove almeno il papà riesce a conservare se non proprio l'amor proprio almeno l'amore del figlio, mentre tu in sala ti spari un colpo in testa per solidarietà.


Davvero.






martedì 19 gennaio 2016

L'ITALIANISSIMA

Dal 13/01 del nuovo anno di nostro Signore Darth Vader partiamo con un rassegnone imperdibile sul cinema italiano, anzi sul cinema sulla realtà italiana, che di conseguenza è poi una rassegna di film solo italiani perchè nel resto del mondo sono tutti impegnati ad interessarsi della realtà americana, che scherzo non è vero, dai, ma anche un po' sì. E tant'è.
In ogni caso, una cavalcata nei decenni dal '45 agli anni 2010 e come unico filo conduttore l'aver sottocchio quella che è la rappresentazione a volte tragica, a volte comica, a volte agrodolce ed a volte spietata della società italiana e del suo involversi evolversi, il tutto attraverso gli occhi magnifici di un gruppo di autori che in fatto di cinema ne hanno spaccati un bel po' (in fatto di culi).
Ma a voi il calendario.
G.R.U.


GIAZZEVVINO

Per chi ama il Jazz, per chi ama il vino ma anche per chi ama semplicemente ascoltare musica sfondandosi di Tavernello del lidl, c'è in ballo una roba grossissima e sciccosissima. In pratica ci sarà un sommelier, nel senso più professionale del termine, che vi farà assaggiare del vino che necessariamente andrà commentato con paroloni di cui non si capirà bene il senso come "strutturato" "tannico" o "franco", ed a seguire un concerto Jazz, che se non è una cosa culturalissima questa allora proprio non sapremmo.
Ma ecco il programma:


HEY OH, LET'S GO

Quindi sì, alla fine siamo entrati nel mondo dei blog con un decennio di ritardo. Aspettavamo che la faccenda fosse sufficientemente rodata.
G.R.U.